FABRIZIO FERRARI, designer, giornalista e docente universitario: una vita spesa nel nome e per la passione delle supercars italiane della “Terra dei Motori”. STORIE DI VITA VISSUTA, DI LAVORO E PASSIONE, PER UN TERRITORIO UNICO, CHE GLI HA REGALATO EMOZIONI ED ESPERIENZE IRRIPETIBILI!
From: “Fabrizio Ferrari: my memories” (original text in italian). LEGGI ANCHE LA PARTE PRECEDENTE
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Ma, come sempre, andiamo con ordine: sull’ultimo telaio costruito, credo l’ottavo (o forse il nono), Guerra aveva già allestito parte della carrozzeria, la parte bassa, tetto e padiglione esclusi (solo la cornice del parabrezza ed il parabrezza, che erano gli stessi del coupé) con pure le modifiche al paraurto-spoiler che avevo studiato precedentemente.
Zampolli voleva una vera spider, semplice e leggera, con solo un tettuccio in tela a movimento manuale (era ancora da venire il periodo degli hard top meccanizzati con movimento automatico). Ma, seppur con una costruzione così semplice, c’era un problema fondamentale da risolvere: come gestire l’enorme cofano posteriore che si apriva all’indietro? Mancava un supporto di aggancio della tela posteriormente e soprattutto, non si riusciva a rendere il design della parte posteriore dello spider convincente, quando la copertura in tela era in posizione, a vettura chiusa. Fu così che, insieme a Giancarlo, ebbi l’idea di dividere l’enorme cofano in due parti, di cui una, la più grande, che continuava a muoversi in apertura allo stesso modo del coupé, mentre l’altra, praticamente solo una porzione resa piatta, al centro, direttamente alle spalle del parafiamma che, oltre a servire da supporto ed aggancio della tela, con il suo lunotto, si apriva invece, all’occorrenza per migliorare la possibilità di ispezionare l’enorme vano motore, in senso contrario (sollevandosi controvento, verso l’anteriore della vettura).
Una soluzione dettata soprattutto dalla praticità e dalla convenienza, ma assolutamente indispensabile per ottenere un buon risultato anche per quanto riguarda il design (che essendo opera del “Maestro” Gandini, non volevo assolutamente inficiare, come mi accadrà più volte anche dopo in Lamborghini).
Purtroppo ebbi solo la soddisfazione di vedere la vettura grezza, modellata direttamente dalle mani d’oro di Giancarlo, appena prima che l’azienda fosse dichiarata in fallimento e Zampolli fosse così costretto a riparare in America, in California, dove precedentemente aveva presentato il suo primo prototipo, verniciato in bianco, della sua Cizeta V16 T.
Ovviamente Zampolli portò con se un paio di scocche già complete, di cui una era proprio la Spyder!
Era l’estate del 1994 e, solo molti anni dopo, verso il 2000, Zampolli mostrò al pubblico negli USA la sua unica versione Spyder della V16T , verniciata in un bel giallo brillante e denominata “Fenice”: il significato del nome era evidente!
Ovviamente aveva completato la vettura nella sede USA della Cizeta e per me fu comunque una soddisfazione vedere il frutto anche del mio lavoro concretizzato! (Continua)
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