FABRIZIO FERRARI, designer, giornalista e docente universitario: una vita spesa nel nome e per la passione delle supercars italiane della “Terra dei Motori”. STORIE DI VITA VISSUTA, DI LAVORO E PASSIONE, PER UN TERRITORIO UNICO, CHE GLI HA REGALATO EMOZIONI ED ESPERIENZE IRRIPETIBILI!
From: “Fabrizio Ferrari: my memories” (original text in italian). LEGGI ANCHE LA PARTE PRECEDENTE
Passarono così altri due anni ed oltre dove, pur alimentando sempre il mio rapporto speciale con la Lamborghini, mi dedicai decisamente ad altri impegni professionali (Bugatti, Cizeta, AlfaRomeo, Maranello, il giornalismo, ecc.)
Nel 1994, con il “ripescaggio” di un vecchio progetto datato 1989-90, la P.140, la “piccola” Lamborghini con un V10 di circa 4 litri, sempre in posizione posteriore centrale (come la Diablo), iniziò quello che oggi potrei così definire come il mio riavvicinamento decisivo alla Lamborghini.
Proprio per volontà dell’Ing. Marmiroli, in quel periodo furono riportati alla luce i vecchi prototipi funzionanti della P.140: un progetto dell’epoca Chrysler, arrivato ad uno stadio avanzato, ma poi forzatamente abbandonato quasi alla vigilia della presentazione, soprattutto a causa dell’abbandono della stessa Chrysler.
Un progetto però ancora valido, nel quale l’Ing. Marmiroli credeva fermamente e che quindi pensò di ripresentare alla nuova proprietà Lamborghini, costituita da un gruppo indonesiano che faceva capo al figlio dell’allora Presidente indonesiano Suharto.
Il sottoscritto ebbe così la possibilità di provare a contribuire, seppur dall’esterno, al nuovo progetto, ribattezzato nell’occasione L.140: stesso motore, stesso layout del vecchio prototipo, ma era così iniziata la ricerca per aggiornarne la carrozzeria. Insieme al sottoscritto, molti altri designer parteciparono alla gara per il progetto della nuova carrozzeria per la “piccola” Lambo ma, a causa dell’ormai cronica mancanza di denaro ed investimenti da parte dei nuovi proprietari, tutti i progetti presentati (compreso quello del sottoscritto) rimasero sulla carta, ad eccezione dell’esemplare unico “Calà”, presentato autonomamente nel 1995 da Giugiaro al Salone di Ginevra, ma anch’esso poi mai prodotto.
Quasi in contemporanea, l’Ufficio Tecnico Lamborghini stava già lavorando ad un altro progetto di sviluppo della Diablo: la “Roadster, poi effettivamente presentata un anno dopo (1995). Anche in questo caso, mi proposi spontaneamente per realizzare una mia proposta di stile, la quale fu poi esaminata brevemente ma, trovandosi il progetto già in stadio molto avanzato, lo stile era in qualche modo già quasi del tutto “congelato”.
In un momento appena immediatamente successivo, in Lamborghini era partita anche la gara per concepire quella che all’epoca era comunemente definita come la “SuperDiablo”: un nuovo modello, sigla di progetto L.147, sempre con il motore V12 posteriore centrale che, secondo gli intendimenti dell’Ing. Marmiroli, Direttore Tecnico Lamborghini, avrebbe dovuto conservare interamente la struttura di base (giro-porte, tetto, parabrezza, ecc.) della stessa Diablo, con il dichiarato intento di contenere al massimo i costi di sviluppo e produzione del nuovo modello.
Anche in quest’occasione, come nel caso della L140, la confusione e la ormai endemica mancanza di denaro ed investimenti sui nuovo progetti, non portò alla produzione di una nuova Lamborghini, anche se le proposte furono ancora una volta svariate: tra le più importanti la “Acosta” di Marcello Gandini (all’epoca comunemente definita “SuperDiablo”), arrivata allo stadio di maquette in scala 1:1 e la “Canto” di Zagato, concretizzatasi in alcuni prototipi marcianti, testati poi a lungo dai collaudatori dell’azienda, ma che però non rispettava le direttive tecniche dell’ing. Marmiroli (infatti aveva un nuovo parabrezza, giro-porte, tetto e tutta una rinnovata struttura del telaio) e questo, per inciso, fu anche uno dei motivi per cui, alla fine, si arrestò il processo di sviluppo per l’entrata in produzione.
Anche in questo caso, al sottoscritto fu richiesta una proposta, che sviluppai da indipendente, ma rispettosa dei parametri imposti dall’Ing. Marmiroli: ribattezzata “Toreo”(1995), chiaramente rimase ancora una volta sulla carta, soprattutto a causa della completa mancanza di fondi per sviluppare almeno un modello in scala. (Continua)