FABRIZIO FERRARI, designer, giornalista e docente universitario: una vita spesa nel nome e per la passione delle supercars italiane della “Terra dei Motori”. STORIE DI VITA VISSUTA, DI LAVORO E PASSIONE, PER UN TERRITORIO UNICO, CHE GLI HA REGALATO EMOZIONI ED ESPERIENZE IRRIPETIBILI!
From: “Fabrizio Ferrari: my memories” (original text in italian). LEGGI ANCHE LA PARTE PRECEDENTE
Ormai era chiaro che tutte le speranze della De Tomaso di Modena, erano riposte nell’accordo industriale con la UAZ, che però tardava a concretizzarsi, anche perché necessitava di un ok anche politico.
Nel frattempo, si stava avvicinando la data del 40° Anniversario della fondazione della De Tomaso a Modena (fondata nel 1959), che era atteso per il 1999. Alejandro diede quello che possiamo ora considerare come il suo ultimo “colpo di reni”, chiedendo di poter presentare per l’occasione, un nuovo modello De Tomaso, visto che era previsto un degno evento direttamente all’interno dell’azienda, con invitati club e clienti da tutto il mondo, oltre che la stampa e le autorità.
Alejandro chiedeva una degna erede, per gli anni 2000 del suo più grande successo: la Pantera!
Il progetto fu affidato, ancora una volta a Marcello Gandini ma, nello stesso tempo, il Direttore Generale Walter Ghidoni chiese al sottoscritto di valutare una proposta alternativa da presentare, come in ogni “gara” di design che si rispetti.
Mentre Gandini lavorava direttamente ad un modello in scala 1:1 che poi sarà presentato in occasione dell’evento del 40° Anniversario De Tomaso, esattamente all’interno dell’azienda, io organizzai rapidamente la mia proposta, sulla base di pochi dati tecnici (misure fondamentali) che Guidoni mi aveva affidato.
Pensai a ben due proposte su basi stilistiche diverse tra loro, di cui una con un design molto più tradizionale e legato al concetto originale della Pantera (con un grado di riconoscibilità Pantera piuttosto elevato), mentre la seconda proposta presentava un design molto più futuristico e, se vogliamo, anche un po’ … “Lambo” (la mia influenza era evidente, all’epoca), sotto certi aspetti.
Ma, come da sempre è stata mia caratteristica, per entrambe le proposte di stile, ipotizzai anche qualche elemento di engineering inedito ed interessante.
Per quanto riguarda la prima proposta, con il design più tradizionale e conservativo, ipotizzai un tetto retrattile che potesse scorrere su se stesso verso la parte posteriore, in modo da scoprire gradualmente l’abitacolo, trasformando l’auto in una targa quasi spider, nella posizione di massima apertura.
Mentre per quanto riguarda la versione dal design più innovativo, naturalmente mi spinsi molto più in là ed ipotizzai una serie di movimentazioni, per tutte le parti mobili della carrozzeria, che in parte richiamassero anche la stessa tradizione De Tomaso.
Prima di tutto il cofano posteriore, diviso in due parti, con una “spina” centrale longitudinale, che lo divideva un due sezioni che si sollevano ad ala di gabbiano, in stile Mangusta originaria di Giugiaro (1967). Questa stessa “spina” centrale longitudinale, prosegue poi anche verso l’anteriore, dividendo anche tetto e parabrezza in rispettive due sezioni asportabili, al punto che, in configurazione totalmente aperta, l’auto può addirittura configurarsi come una barchetta senza parabrezza, ma sempre con un arco di sicurezza superiore longitudinale che, unitamente al roll-bar centrale, garantiva la prova di ribaltamento persino per l’omologazione richiesta dall’importante mercato USA. Infine, a degno completamento di un progetto per nulla tradizionale, non poteva mancare la porta che scorreva verso il basso, all’interno della fiancata, in stile BMW Z1.
Ricordo la soddisfazione di presentare questi due progetti a Ghidoni, il quale rimase realmente impressionato, al punto da non saper decidere quale tra i due …
Ma la realtà era che anche il progetto di Gandini, che già si stava traducendo in un modello in scala reale, ben difficilmente avrebbe potuto avere un reale sviluppo, anche solo in un unico prototipo di vettura marciante, a causa della sempre più grave mancanza di liquidità della ditta, che stava letteralmente sprofondando in un vuoto di produzione e quindi mancata vendita e incassi, davvero pericoloso.
Purtroppo, questa situazione andò ancora avanti per anni, quando già lo stesso progetto Pantera 2000 era stato accantonato in attesa di tempi migliori, sempre nella speranza che l’accordo con UAZ si traducesse finalmente in una vera ripartenza della De Tomaso dal punto di vista produttivo ed industriale.
Nonostante i molteplici sforzi ed iniziative del Dr. Berti e dello stesso Ghidoni, alla fine l’accordo saltò del tutto nel 2003, all’indomani della morte di Alejandro De Tomaso. Da quel momento la china dell’azienda si fece ripidissima e, inevitabile, la chiusura definitiva arrivò dunque solo due anni più tardi, nel 2005: avevo definitivamente perso un’altra delle mie “famiglie” preferite, con la quale, con il senno di poi, mi sono nutrito solo di illusioni. Ma è stato comunque bello e stimolante e la mia amicizia con Ghidoni, così come già prima quella con Marmiroli, continua ancora oggi. (FINE PRIMA PARTE)
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