BREVE STORIA DELLA CIZETA AUTOMOBILI: L’UNICA CASA AUTOMOBILISTICA MODENESE DI SUPERCAR AD ADOTTARE UN MOTORE A 16 CILINDRI!
CAP.4 – 1991/95: LA CIZETA MORODER DI CLAUDIO ZAMPOLLI (leggi)
RICORDO DI CLAUDIO ZAMPOLLI, IL FONDATORE DELLA CIZETA (Clicca qua)
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La Cizeta Automobili nasce, nella seconda parte degli anni ’80 da un’idea di Claudio Zampolli.
Zampolli all’epoca era un ex collaudatore Lamborghini, divenuto dealer negli USA, non solo per la Lamborghini, ma anche per la Ferrari.
Il suo quartier generale era Los Angeles, dove aveva avuto l’occasione di conoscere tutto il jet set di importanti personaggi a livello internazionale, molti dei quali anche suoi clienti. Tra questi il celebre compositore Giorgio Moroder, con il quale fece società per fondare la sua azienda automobilistica che, infatti, all’inizio si chiamava Cizeta (dalle sue iniziali) Moroder.
La seconda metà degli anni ’80 è anche stato il periodo in cui il fenomeno delle supercars esplose in tutto il mondo. E Zampolli, dall’alto della sua esperienza, prima di collaudatore e poi di venditore, aveva ben pensato di produrre la sua supercar. Ma non una supercar tra le altre, bensì la “regina” delle supercars (all’epoca il termine hypercar ancora non era in uso), con un inedito e incredibile motore a 16 cilindri ed una carrozzeria dal design straordinario, firmato da colui che già era stato l’autore delle più incredibili supercars e dream cars Lamborghini, Lancia e quant’altro, per la firma di Bertone, ossia Marcello Gandini!
Moroder, inizialmente credette nell’idea di Zampolli e perciò finanziò in toto l’avvio del progetto.
L’iniziativa partì con grande slancio e la presentazione della prima auto, a Los angeles nel 1988, suscitò grande clamore ma, di li in poi la vita, prima della Cizeta Moroder e poi Cizeta Automobili a Modena (dopo l’uscita di Moroder), fu breve e travagliata: meno di 10 anni.
Ma quali sono stati i motivi e le cause di una chiusura così precoce? In realtà le cause sono state diverse, ma la principale, incredibilmente, coincise proprio con quello che doveva essere il maggiore pregio della Cizeta V16T, la stupefacente supercar di Zampolli e cioè il suo incredibile motore a 16 cilindri.
Per i più giovani, voglio specificare che, all’epoca, nessuno dei grandi costruttori di supercars adottava un tale frazionamento: Ferrari e Lamborghini si fermavano al classico 12 cilindri, mentre Maserati, Porsche ed altri si “accontentavano” di un classico V8.
Il 16 cilindri non era una novità assoluta, in quanto sperimentato già dagli anni ’30 del secolo scorso, sia da Maserati che dall’Audi (prima della seconda Guerra Mondiale), ma solo su vettura da GP e quindi mai su vetture stradali. Mentre la Bugatti Veyron (2002), chiaramente era ancora di là da venire.
Il sottoscritto ha avuto l’onore e l’onere di collaborare con lo stesso Zampolli, nella seconda e terminale fase dell’avventura a Modena, di quella che all’epoca era già divenuta la Cizeta Automobili (dopo che Moroder era uscito dalla società). Ho già avuto modo di raccontare, a puntate, quasi l’intera vicenda modenese di Zampolli e della Cizeta e per chi fosse interessato, lascio perciò i riferimenti (link sotto) di quanto già pubblicato:
Tornando quindi ai reali motivi di questa precoce chiusura, occorre prima di tutto precisare che avvenne dopo sole 7/8 Cizeta V16T effettivamente prodotte e consegnate, più un esemplare di Spider, la cui costruzione era iniziata a Modena, ma che venne poi completata da Zampolli negli USA, anni dopo la chiusura ufficiale della Cizeta Automobili a Modena (1994). Chiaro che si trattava di un’auto particolare, dai costi e dalle caratteristiche eccezionali (per l’epoca) e quindi anche prodotta in serie limitata e soprattutto con un processo del tutto artigianale. Ma è altrettanto chiaro anche che qualcosa di basilare non abbia funzionato, se non nel progetto, perlomeno nel programma.
Prima di tutto occorre ricordare alcuni antefatti: non a caso, la presentazione del primo prototipo, di colore bianco, come ho già ricordato a Los Angeles nel 1988, di quella che ancora era la Cizeta Moroder V16T, arrivò come un fulmine a ciel sereno. Mentre la successiva organizzazione dell’effettiva produzione della vettura a Modena, fu poi molto più laboriosa e lenta. Al punto che, come ricordato nei miei precedenti scritti, la presentazione ufficiale, a Modena, del primo modello “di serie”, avvenne solo nel settembre del 1991: cioè ben 3 anni dopo!
Quindi, ricapitolando, per arrivare alla spettacolare presentazione del primo prototipo, a Los Angeles 1988, si era passati, nel corso di circa un solo anno, attraverso la realizzazione di ben due diversi modelli di stile (tra cui quello definitivo) e pure attraverso la concezione e lo studio di ben due diversi tipi di telai, di cui uno scatolato (poi scartato), più quello definitivo tubolare, con un fitto intreccio di tubi al cromo molibdeno (stile Lamborghini Countach). Inoltre, non certo da meno, fu la concezione e la realizzazione del gruppo motore/cambio a 16 cilindri, che era il risultato dell’unione di due V8 allineati (montati in vettura in senso trasversale), con un cambio montato al centro a 90° a formare (geometricamente) la lettera T (da cui la sigla della vettura), perché montato in vettura longitudinalmente (il cambio).
Un risultato assolutamente incredibile e straordinario, soprattutto in termini di tempo e mole di lavoro eseguito, ma che, di fatto, non aveva quasi minimamente tenuto conto di quelle che sarebbero poi state le problematiche della successiva produzione, seppur un serie limitata ed assolutamente artigianale.
Infatti, i vari problemi vennero poi a galla succesivamente, con tempi di sviluppo e messa a punto costosi e soprattutto molto laboriosi, che in primo luogo scoraggiarono l’investitore Giorgio Moroder, il quale abbandonò così il progetto, lasciando Claudio Zampolli, praticamente solo a risolvere i tanti problemi.
Per la struttura del telaio e la carrozzeria, dopo che Gandini aveva completato il suo lavoro, Zampolli potè contare sull’aiuto e la grande esperienza di tanti bravi e capaci collaboratori ed artigiani, quasi tutti conosciuti in Lamborghini e che lo seguivano nel suo progetto; tra i quali ricordo la Marchesi & C. a cui fu affidato sia lo sviluppo che la produzione di tutti i telai
https://www.menudeimotori.eu/blog/video-marchesi-c-modena-la-storia-dal-1965/
e l’impareggiabile battilastra Giancarlo Guerra, che mise a punto magistralmente lo sviluppo e la produzione dell’intero body (telaio+carrozzeria, Spider compresa)
https://www.menudeimotori.eu/blog/giancarlo-guerra-il-re-dei-battilastra-modenesi-ci-ha-lasciato/
Ed infatti il lavoro fu laborioso e lungo, ma alla fine portò a risultati niente male e senz’altro più che apprezzabili, pur se con costi davvero elevati (causa soprattutto il laborioso processo artigianale), ma pur sempre adeguati al livello, al prestigio ed all’unicità della vettura.
Purtroppo altrettanto non fu per il motore a 16 cilindri, vero fiore all’occhiello dell’intero progetto ma, al tempo stesso, anche “tallone d’Achille” di tutta l’operazione.
Infatti, al contrario di quanto fatto da Alejandro De Tomaso prima (motori Ford) e da Horacio Pagani poi (Mercedes) Zampolli, vista l’esiguità di mezzi e personale della sua impresa, peccò dello stesso errore commesso anche dalla Bugatti di Campogalliano (che pure era una realtà ben più ambiziosa e forte economicamente) e cioè costruirsi tutto il motore in casa, collaudi ed omologazione compresa!
L’ultimo a riuscire, in zona, in una operazione tanto complessa ed ambiziosa, quanto costosa, fu infatti Ferruccio Lamborghini, con il leggendario primo V12 Lambo, ma in ben altri tempi (1963): si parla di oltre 20 anni prima, quando i problemi e soprattutto i costi dell’omologazione anti-inquinamento, erano tutto sommato ancora ben poca cosa!
Ma alla fine degli anni ’80, primi anni ’90, il mondo automotive stava già cambiando sensibilmente ed in modo irreversibile: oltre all’avvento del CAD nella progettazione ed all’elettronica di controllo, erano le normative anti-pollution sempre più severe e complicate, che ormai stavano portando i costi di sviluppo, sperimentazione e soprattutto omologazione di un nuovo motore, a livelli non più sostenibili da piccole imprese artigianali, come appunto era all’epoca la Cizeta di Claudio Zampolli.
La stessa Bugatti di Campogalliano, che all’epoca (1990-91) aveva anch’essa montato sulla EB110 un V12 quadriturbo di propria concezione, pur essendo molto più grande e solida della Cizeta, tra gli altri problemi, si dissanguò economicamente anche in questo modo …
https://www.menudeimotori.eu/blog/video-bugatti-eb110-the-first-production-car-and-the-prototype/
Alla fine Zampolli, orfano del finanziatore Moroder e stretto nella morsa di questi costi insostenibili, si ritrovò proprio senza la disponibilità dei motori 16 cilindri. I clienti aspettavano pazientemente le poche auto ordinate e, ricordo ancora benissimo, tra la fine del 1993 ed i primi mesi del 1994, ben due scocche, per altrettante vetture già ordinate, erano ormai complete in attesa della meccanica …
Al punto che su una di esse sviluppammo in fretta e furia la versione spider (vedi capitolo relativo), senza però poter consegnare più alcuna vettura finita, perché non era più possibile assemblare i motori, in quanto alcuni fornitori esterni, avevano smesso di consegnare alcune parti essenziali, come ad esempio i basamenti degli stessi motori …
Zampolli non ebbe più alcuna scelta, se non quella di chiudere lo stabilimento di Modena e trasferire tutto negli USA dove, con il tempo, riuscì almeno a completare le vetture già costruite. Ma nel frattempo, il bel sogno dell’unico costruttore modenese di supercar a 16 cilindri, era già inesorabilmente finito!
Ci fu anche chi speculò sul fatto che gli “altri” costruttori della zona, avessero fatto opera di boicottaggio, perché si sentirono messi in secondo piano dal 16 cilindri di Zampolli, ma io non ho mai creduto a questa versione, quanto piuttosto al fatto ineludibile che tutta l’operazione, seppur molto coraggiosa e degna di ben altri risultati, alla fine non funzionò, soprattutto perché mancava alle spalle un adeguato supporto economico/organizzativo.
Non a caso, anni dopo, nel 2000, anche la B-Engineering “Edonis”, altra supercar modenese con un 12 cilindri biturbo autocostruito, nata adalle ceneri della Bugatti di Campogalliano, ebbe ad affrontare lo stesso genere di problemi insormontabili.
Mentre lo stesso non accadde ad Horacio Pagani, il quale aveva invece intelligentemente scelto di essere molto ben supportato, sin dall’inizio della sua avventura di costruttore, nientemeno che dalla Mercedes!
E non è certo un caso, che la storia della Pagani Automobili abbia invece già felicemente superato la soglia del suo primo ventennio di vita, crescendo costantemente e proiettandosi così verso un futuro probabilmente molto più solido!
Fabrizio Ferrari